Il fuoco di sant’Antonio abate: un cammino nelle tradizioni popolari napoletane e non solo.
Il 17 gennaio è usanza, nella provincia di Napoli alle falde del Vesuvio, celebrare "O’ fuoco è sant’Antuono", comunemente detto “’o fucarone”, ossia l’accensione del falò, in occasione del giorno di sant’Antonio Abate, eremita egiziano, del quale analizzeremo più avanti l’iconografia e i simboli in essa presenti.
In questa festa tutto ci narra delle relazioni che la comunità stabilisce con i propri luoghi e le proprie usanze, “le feste sono per la comunità il momento in cui si ricreano i lacci e in cui si tesse la vita.”. *
E’ un rito di passaggio legato alle tradizioni contadine che contemplano riti di purificazione e di rinascita, basati sul culto del fuoco e sul sacrificio di alcuni animali, in tal caso specifico il maiale.
Maurizio Ponticello cita nel suo libro “I pilastri dell’anno. I significati del calendario occulto” ** le “Feriae Sementinae” dedicate alla dea Cerere, che i romani celebravano nello stesso periodo di sant’Antonio, “erano le celebrazioni della trasformazione del seme in pianta che avveniva sotto terra e senza alcun intervento dell’uomo, era considerata opera della divinità, e questo richiedeva in cambio la stessa prestazione di un culto alla divinità stessa” *** con l’accensione di grandi falò e con l’uccisione rituale di scrofe gravide, sottolineando il legame con la Grande Madre.
Per questa festa ci si prepara con giorni di anticipo e gli atti messi in opera hanno le caratteristiche della devozione solenne: si assiste alla commistione di rituali pagani e cristiani, siamo al confine tra sacro e profano.
Fuoco e sangue sono gli elementi purificatori per antonomasia e in questa festa sono ben presenti ed evidenti, come pure il colore che li rappresenta: il rosso.
Mi ricordo, quando ero bambina, che i ragazzini della mia età si aggiravano per le campagne in cerca di rametti secchi. Mia nonna ed io raccoglievamo questi rami che poi lei sapientemente, in modo meticoloso ed ordinato raggruppava e formava le fascine, legando tutti i rami con un filo di spago.
Si preparano grosse pire di ramoscelli raggruppati in fascine, alcune pire possono essere lunghe anche 7-8 metri, al cui vertice viene posizionato un fantoccio fatto di carta di giornali e vecchi abiti, “simulacro della natura rinsecchita e diventata ormai sterile” come sottolinea Maurizio Ponticello, quindi quando questo fantoccio prende fuoco, simbolicamente prende fuoco il vecchio anno, che deve perire per poi rigenerarsi e brillare di benefici influssi.
Ricordo pure che ci riunivamo nel cortile della masseria dove abitavo e dove ancora abita la mia famiglia, e tutto il vicinato era impegnato per la realizzazione di questa vera e propria festa, che nell’essenza è riconducibile a un rituale propiziatorio, affidando la buona riuscita dei raccolti, e di ogni altra cosa, a sant’Antonio abate.
La vicina sacrificava il maiale che veniva poi impiegato nella preparazione di pietanze tipiche che in tale giorno si gustano, mentre ognuno dei partecipanti portava in tavola un piatto cucinato con le proprie mani e che veniva donato e ripartito durante la cena.
Non mancano, dunque, tra i vari piatti tipici la lasagna, simbolo di abbondanza, salsicce e costatelle alla brace accompagnate dal sapore amarognolo dei friarielli, tipica verdura campana; “ ‘O suffritt”, anticamente cibo dei poveri è una zuppa molto piccante a base di frattaglie di maiale, il tutto innaffiato da vino di uva catalanesca e vino rosso corposo; tocchetti di pane fritto nell'olio,
infine il tipico dolce del carnevale napoletano, il migliaccio. Si tratta di un miscuglio di semolino, uova e zucchero, alcuni aggiungono ricotta, e si lascia cuocere finchè non si crea una crosticina color del miele, affettandolo si nota una consistenza quasi gommosa, una leccornia che dire golosa è dir poco. (Sul Carnevale ci sarà un altro approfondimento).Al suono ritmato delle tammorre, antichi strumenti di percussione, la popolazione si lascia coinvolgere in balli e canti della civiltà contadina che si levano fino al cielo e si protraggono finché dura il fuoco.A sottolineare che si tratta di un rito di passaggio c’è pure la formula di un antico canto “sant’Antuono sant’Antuono jette fore 'o viecchio e porta 'o nuovo”, (tr. “sant’Antonio sant’Antonio butta fuori il vecchio e porta il nuovo”) che viene ripetuto a gran voce, con entusiasmo e fede, dai partecipanti.
Dalla saggezza contadina e quindi dai miei nonni, ho imparato che accendendo dei fuochi si purifica il terreno da sterpi e fogliame e si rende fertile la terra grazie alla cenere ricavata, questo dato va a rafforzare la circostanza che tale festa è una celebrazione di rinascita e di rinnovamento, che si è tramandata nel tempo attraverso le pratiche agricole, di generazione in generazione. Si preparava e si prepara la terra al rinnovamento cosmico, che avrà il suo culmine con la Primavera.
Ancora Ponticello ci illumina sul perché si festeggi questo secondo capo d’anno” in tale data: “(…) in questo periodo, il quale, oltre a essere purificatorio preparava a un nuovo capo d’anno poiché, secondo il calendario romuleo, febbraio era l’ultimo mese del ciclo.
Seguendo invece la cronologia proposta dalla riforma gregoriana, il fenomeno dei roghi invernali si concentra in due date le quali finiscono di fatto per coincidere, il 17 gennaio e il 1 febbraio.”.
(Ricordo che nei primi di febbraio c’è un’altra ricorrenza, la Candelora, alla quale sarà dedicato un ulteriore approfondimento.).
Sant’Antonio è comunque festeggiato da Nord a Sud, è il periodo in cui si assiste alla benedizione degli animali impartita sul sagrato delle chiese, in quanto, per la devozione popolare, il Santo è il patrono del focolare domestico, degli animali, dei contadini e degli allevatori, perché capace di sottomettere fiamme e demoni, ed è per questo che al fuoco apotropaico si associa una forte valenza animica.
ICONOGRAFIA DI SANT’ANTONIO ABATE
Il santo viene raffigurato con numerosi simboli, qui ne esamino tre: il bastone, il campanello e il maiale.
Il bastone.
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immagine da qui |
Sant’Antonio impugna un bastone a forma della «Tau» greca (ovvero una T) che secondo Ponticello “è palesamente il segno del Dio del Tuono figlio di Odino, Thor, vale a dire il martello Mjollnir”, simbolo della resurrezione, della rinascita.
Il campanello.
Tale simbolo risale a quando, per un’epidemia portata dai maiali, si dovettero uccidere tutte le bestie ammalate, tranne quelle che allevavano i monaci Antoniani, distinguibili da un campanello legato intorno al collo. Il significato del campanello è da ricercare nel ciclo congiunto alla morte e alla resurrezione, anticamente simbolo del ventre materno.
Il campanellino è anche associato ad un tradizionale rito che si svolgeva a Macerata Campania (CE)****: un tempo si usava far bere acqua dal campanellino di «Sant’Antuono» a quei bambini piccoli che avevano difficoltà ad iniziare a parlare in modo da aiutarli.
La campana è, infine, identificata con l’utero della Grande Madre e la conoscenza, ancora una volta Demetra.
Il maiale
Questo animale è uno dei protagonisti della festa, e nell’iconografia è rappresentato ai piedi del santo: simboleggia l’abbondanza, l’opulenza, ma anche l’altro mondo.
I maiali e, più nello specifico, i cinghiali sono elementi che riconducono ancora al mondo celtico.
Il maiale, specie la scrofa gravida, come Ovidio cita nei “Fasti”, era sacro alla Dea Cerere/Demetra la quale era spesso raffigurata in sua compagnia, era l’animale prescelto per essere sacrificato durante i Misteri Eleusini.
Le origini culturali di questa festa, come si evince, sono antichissime.
Buona parte delle feste cristiane si sono sovrapposte, com’è noto, agli antichi culti pagani ed ogni rito che vede l’accensione di un fuoco si richiama alle usanze celtiche, in particolare ai fuochi accesi in onore del dio Lug, come viene citato da Ponticello, la divinità più importante nel pantheon celtico. Lug era colui che risorgeva assicurando, ogni anno, il ritorno della primavera, della luce: dunque portatore di fecondità e di nuova vita, vincitore degli Inferi e delle forze oscure.
La festa di Sant’Antonio Abate si collega all'interno di tale scenario, senza alcuna presunzione di completezza, e al Carnevale e ai riti della rinascita, al tempo della Quaresima prima e della Pasqua poi, diventando un momento particolarmente fecondo di significati.
Infine, un parallelismo che vorrei farvi notare e che mi è piaciuto scoprire è che in India, il 13 gennaio, quindi il periodo ricorre, c’è la festa di Lohri che si celebra precisamente nel Punjab. A tale festa è associata proprio l’accensione dei falò per celebrare le attività rurali e il raccolto, ma anche per simboleggiare la purificazione e la vittoria della luce sul male.*****
Fonti:
Le foto riportate le ho scattate, ovviamente, negli scorsi anni.
* “La festa e i falò. Guida paesologica del Messico, ovvero quel che le feste raccontano di noi” di Elena Ianni
“I pilastri dell’anno. Il significato occulto del calendario” di Maurizio Ponticello
*** in “I pilastri dell’anno” Ponticello cita all’uopo “La religione” di D. Sabbatucci.
**** https://www.santantuono.it/santantuono/
“I celti” di Jan Filip
“La festa” di Natale Spineto
*****htps://passoinindia.wordpress.com/2013/01/13/la-mia-lohri/