Attraverso questa intervista, conosciamo meglio la
scrittrice Cristina Costa.
Nata a Palermo nel 1971. Si è laureata in Psicologia nel 1996 e ha avuto varie esperienze lavorative in ambito educativo e formativo. Da qualche anno vive in provincia con il marito e i tre figli.
Appassionata di lettura, da poco tempo ha iniziato a scrivere racconti, pubblicando in raccolte antologiche.
“Le arance di Dubai” è il suo primo romanzo, libro che ho avuto il piacere di leggere e recensire [leggi qui la recensione]
Appassionata di lettura, da poco tempo ha iniziato a scrivere racconti, pubblicando in raccolte antologiche.
“Le arance di Dubai” è il suo primo romanzo, libro che ho avuto il piacere di leggere e recensire [leggi qui la recensione]
Da dove trai ispirazione per
scrivere le tue storie e tuoi personaggi?
Innanzitutto dalla mia storia personale, dai miei
vissuti. Con ciò non intendo dire che scrivo storie autobiografiche, ma che certi
personaggi nascono intorno ad un vissuto che ho voglia di raccontare, magari
per rielaborarlo o approfondirne il senso attraverso la scrittura.
Quale libro [o più] che hai
letto ti sentiresti di consigliare...
Ce ne sono alcuni che mi piacciono particolarmente e che
consiglierei, per esempio “Il postino” di Neruda di Skarmeta perché è ricco di poesia,
“La Frontiera scomparsa” di Louis
Sepulveda, autore di cui amo molto lo stile, “Cent’anni di solitudine” di Marquez. In questi ultimi mesi ho
iniziato a leggere Tiziano Terzani e lo consiglio vivamente per il modo in cui
sa raccontare il mondo e la vita.
Concordo con le tue scelte e
soprattutto con quella di Terzani.
Raccontaci un pò come nasce
Le Arance di Dubai...
Le arance di Dubai
nasce dalla voglia di pensare ad un cambiamento per la terra in cui vivo, la
Sicilia. Noi siciliani spesso commettiamo l’errore di sentirci vittime di ciò
che non funziona e mai corresponsabili. Abbiamo un grande patrimonio
naturalistico, storico e culturale, che non siamo in grado di gestire e
valorizzare. Penso al degrado in cui versano certi paesi, così come certi
quartieri della mia città e questo non solo a causa delle cattive
amministrazioni ma anche della mancanza di senso civico che porta spesso a
vedere ciò che è pubblico come terra di nessuno piuttosto che come patrimonio comune
da rispettare e salvaguardare. Viviamo come sospesi nell’attesa che qualcuno
arrivi e cambi le cose, mentre dovremmo essere noi stessi a darci da fare
perché si realizzi il cambiamento, che deve essere innanzitutto culturale.
Queste sono le riflessioni da cui è nata l’idea di fondo del romanzo.
Riflessioni estremamente profonde.
Da cosa nasce la tua esigenza
di scrivere, di raccontare...
Viviamo in una società dove tutti parlano ma pochi
ascoltano e sempre più spesso ho la sensazione che ciò che diciamo cada nel
vuoto dell’inascoltato. Perciò, in modo inconsapevole inizialmente, la mia
voglia di scrivere è nata proprio dal bisogno di dare una chance in più ai miei
pensieri, a ciò in cui credo, nella speranza che in questo modo possano
raggiungere orecchie disponibili all’ascolto, persone che possano ritrovarsi
nelle mie storie.
Mi sembra un ottimo motivo
scrivere per “dare una chance ai miei
pensieri, a ciò in cui credo”.
E mentre scrivi ascolti
musica o hai bisogno del silenzio assoluto?
Preferisco senz’altro il silenzio. Tuttavia vivo in una
casa sovraffollata dai suoni e dai rumori dei miei tre bambini, dove il
silenzio è una condizione rara e preziosa. Pertanto quando sono sola scelgo il
silenzio per un’immersione totale nella storia che sto scrivendo, ma spesso mi
è capitato di scrivere con il minore dei miei figli in braccio o interrotta di
continuo dalle richieste dei più grandi. In questo sovraffollamento di stimoli
la musica sarebbe solo un’ulteriore fonte di deconcentrazione.
Bella l’immagine di te che
scrivi con uno dei tuoi figli in braccio.
La figura del padre è il filo
rosso che accompagna l'intero libro fino a congiungersi con il concetto di
paternità..."ognuno ha il suo compito da svolgere nel mondo"....qual
è il tuo? Hai avuto modo di capirlo, la scrittura ti ha aiutato in questo? E
cosa vuol essere genitore?
Essere consapevole di quale sia il proprio compito nella
vita è veramente difficile; vorrei avere una risposta certa di quale sia il
mio, ma la verità è che non so dare una risposta definitiva. Di sicuro mi sento
molto vicina al personaggio di Teresa, che ha fatto del suo essere madre e
moglie il compito della sua vita. Ha scelto di dedicarsi alla sua famiglia e lo
ha fatto senza riserve, identificandosi completamente con quel compito. Lei
incarna il mio ideale di genitore: una figura equilibrata e rassicurante,
capace di ascoltare, di mediare, di creare sintonia all’interno della famiglia.
A me manca la sua capacità di vivere totalmente a suo agio in quella scelta.
Sicuramente la scrittura mi sta aiutando nella misura in
cui mi consente di lasciar venire fuori una creatività sommersa, regalandomi la
possibilità di essere “altro”. Non la vivo come un compito o una missione, ma come un modo parallelo di
essere.
E qual è il compito di un
popolo?
Ne Le arance di Dubai fai riferimento all'importanza dell'identità di
un popolo. Cos’è per te questa identità?
Credo che l’identità sia la continuità che lega i pezzi
di vita in una storia coerente. Essa non è solo la risultante della somma di
quei pezzi, ma anche delle loro interazioni e
influenze reciproche. L’identità è un intreccio inestricabile di
presente e passato, di ricordi e di propositi e questo vale sia a livello
individuale che collettivo . Nel romanzo
il concetto di identità è legato strettamente a quello di memoria, al senso di
appartenenza, all’importanza della storia, personale e collettiva, perché
questi ne costituiscono il fondamento. Pensiamo a cosa succederebbe a ciascuno
di noi se all’improvviso perdessimo la memoria:
certamente non sapremmo più chi siamo, avremmo smarrito la nostra
identità. Paolo, il protagonista di “Le arance di Dubai” deve fare i conti con
la negazione di una parte della sua vita, quella in cui viveva in Sicilia da siciliano. Aver tagliato i ponti per
trent’anni, se da una parte gli ha consentito di perseguire gli obiettivi che
riteneva più importanti per il suo futuro, dall’altra lo ha a lungo privato di
una parte della sua storia. Ciò che gli è venuto a mancare è proprio il senso
della continuità.
Le arance di Dubai
è un romanzo che utilizza l’espediente del paradosso per affrontare il tema
dell’identità di un popolo. Il paradosso è questo: per essere siciliani
migliori non dovremmo più essere siciliani. Ovviamente si tratta di una
provocazione volta a ricordare a me stessa e alla terra a cui appartengo che
invece, possiamo, anzi dobbiamo, essere siciliani migliori facendoci
protagonisti attivi del miglioramento, smettendo di assumere
quell’atteggiamento fatalistico che ci caratterizza nell’eterna attesa che
qualcosa sopraggiunga all’improvviso a risolvere i problemi.
Interessante questa tua
opinione, fa sorgere riflessioni stimolanti.
Che rapporto hai con il
tempo...
Un rapporto strano, direi. Ho la sensazione di essermi
fermata con la mente ad un certo momento della mia vita e di aver perso da lì
in poi la cognizione del tempo. Ciò è avvenuto da quando è nato il mio primo
figlio perché la mia vita da allora è stata soprattutto assorbita dal ruolo di
madre. Spesso mi ritrovo a credermi coetanea di persone molto più giovani di
me, come se non mi fossi accorta degli anni che sono trascorsi nel frattempo. Tendenzialmente guardo poco al
futuro, perché lo vivo come un’incognita troppo grande, che mi spaventa, mentre
tendo ad ancorarmi al presente, che è il tempo delle mie certezze.
Concordo, credo che il
presente sia il tempo migliore.
Prendo spunto dalle tue
parole:
«Ritrovarti è
stata la conferma di
questa mia
certezza perché è stato
come ripartire
esattamente da dove
ci eravamo
interrotte. Guardandomi
intorno ci sono
fisionomie che
riconosco, occhi,
voci, sorrisi, ma
sono i volti di
una vecchia foto che
non appartengono a
ciò che sono
adesso. Sono un
capitolo della mia
storia più antica.
Tu non sei rimasta
intrappolata in
quella foto, ma
hai camminato
silenziosamente accanto
a me e io ti
ringrazio per esserci
stata.»
Il tema della nostalgia è
molto forte in questo romanzo, cosa hai voluto trasmettere riferendoti a questo
sentimento? E cos'è per te Nostalgia?
Si, il romanzo è intriso di nostalgia, un sentimento che
attraversa tutti i personaggi della storia. Ciò che volevo trasmettere è
l’importanza per ciascuno di noi di tenere vivo il legame con il proprio
passato, con i luoghi, le persone che hanno fatto parte di un momento della
nostra vita. Nostalgia per me è l’essenza di quei legami, è il peso dei
ricordi, è la capacità di tenere vivo dentro di noi ciò che è lontano, sia esso
un luogo o una persona, come parte integrante della nostra storia.
Il tuo romanzo è attualissimo
e prendo spunto, ancora, dalle tue parole
«La vita mette alla prova le persone,
alcune le cambia completamente,
in meglio o in peggio, secondo il
modo in cui gli eventi si mescolano
con le loro predisposizioni, altre
non le scalfisce minimamente, limitandosi
a rimarcarne i tratti.»
Non vorrei far spoiler, ma
credo sia importante far capire ai lettori quanto sia ricco di tematiche il tuo
romanzo, mi ha colpito una storia terribile che succede ad uno dei personaggi
della storia, è stato toccante per me leggerlo perchè non me l'aspettavo, però
vorrei sapere come mai hai inserito, senza descriverlo esplicitamente, l'abuso
subito da Giorgio "la figura trasparente in classe" e “invisibile
nella mischia"....
La figura di
Giorgio nasce dal ricordo di un compagno di scuola, un ragazzo che ho
frequentato quotidianamente per cinque anni al liceo, ma che è rimasto una
figura assolutamente indecifrabile per me. Naturalmente la storia dell’abuso
non c’entra con quel ricordo, ma costruire il personaggio si Giorgio su quel
ricordo mi ha permesso di raccontare quanto sia difficile conoscere veramente
chi ci sta accanto, spesso rinunciando a voler capire meglio il perché di certi
comportamenti, e lasciando che gli altri, che pure sono fatti della nostra
stessa umanità, diventino trasparenti ai più. Giorgio è un personaggio
apparentemente “congelato” ma in realtà porta dentro di sé una grande ricchezza
di emozioni, che nessuno aveva saputo, o meglio voluto, cogliere.
Credi che questi tempi duri
ci stiano mettendo alla prova? Cosa pensi se ti dico "futuro", come
lo vedi?
Assolutamente si; viviamo tempi difficili, fatti di rinunce,
di prospettive incerte, che mettono a dura prova la capacità di credere in
qualcosa e di sperare in un futuro vivibile. Personalmente vedo il futuro come
una grande incognita che mi spaventa, perché allo stato attuale mi sembra
difficile azzardare qualunque previsione. Credo che il presente stia incidendo
negativamente su di noi, perché il peso delle difficoltà che stiamo vivendo
spinge ciascuno a guardare solo a se stesso, rendendoci più egoisti. Nel futuro
vedo molta solitudine.
Grazie Cristina
Intervista a cura di Lena Ceglia
Info per il libro
Autore: Cristina Costa
Genere: Narrativa
Pagine: 176
Prezzo: 15 euro
ISBN libro: 978-88-6307-447-5
ISBN ebook: 978-88-6578-145-6
Prezzo ebook: 9.99 euro
Editore: 0111 Edizioni
Genere: Narrativa
Pagine: 176
Prezzo: 15 euro
ISBN libro: 978-88-6307-447-5
ISBN ebook: 978-88-6578-145-6
Prezzo ebook: 9.99 euro
Editore: 0111 Edizioni
Se volete sfogliare le prime pagine leggete qui
Disponibile in formato cartaceo e in formato
ebook, potete reperirlo in tutte le librerie on- line (Ibs.it, La
feltrinelli, Rizzoli...) o direttamente nel sito della casa editrice ai
seguenti link:
Qui per la versione cartacea
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Buona Lettura!
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