"Sono soprattutto le donne a fotografare se stesse. Perché, ho chiesto a cinque di loro. La risposta riguarda sempre la guarigione, una ferita, la cura. Un bisogno, mai una vanità"
- Concita De Gregorio, "Chi sono io?"
Vorrei raccontarvi "Chi sono io?", il libro di Concita De Gregorio (Contrasto Books) attraverso le parole della pittrice messicana Frida Kahlo, "Dipingo me stessa perché sono il soggetto che conosco meglio", che ha fatto dell'autoritratto pittorico, il mezzo principale per raccontarsi, per venire al mondo, per lenire il dolore che le ha sconquassato anima e corpo e per far uscire da profonde ferite tutto l'anelito amoroso per la vita.
La De Gregorio in questo libro ha compiuto una lunga ricognizione nel territorio della fotografia femminile interrogando, e interrogandosi, sul senso e il valore di un gesto: quello dell’autorappresentazione.
L'uso prevalente che si fa delle fotografie è quello di ricordare, esse "sono la presenza di un'assenza". Tutto questo è ancor più valido se si pensa all'autoritratto che è qualcosa che si fa per se stessi. Gli autoritratti raccontano una storia, la fotografia in quell'istante diviene la penna con la quale scrivere pagine della propria esistenza. Pensiamo alla stessa parola "fotografia", l'unione della luce e del segno. Mettere in luce qualcosa di sé per raccontarlo, per porre un segno. Nell'attimo stesso di fotografare e fotografarsi ciò che si racconta, il meraviglioso e il terribile, è già accaduto. Il tempo fluisce sulle emozioni, le nutre, le assopisce. Il gesto di fotografare l'attimo sembra fermarlo, probabilmente per l'eternità, un gesto da consegnare metaforicamente all'universo.
La De Gregorio si pone anche un fondamentale quesito: "Perchè si rivolge l'obiettivo verso se stessi?" Si interroga, e ci interroga al contempo, sul tema dell'identità e della reputazione, in un'epoca come quella attuale basata sull'ossessione della riproducibilità tecnica, sui selfie fatti al solo scopo di accumulare like, cuoricini e pollici in su, e ci si chiede, dunque, quale sia oggi il valore da attribuire a questi due concetti. Nell'era del selfie, la dignità è al giudizio della reputazione, quest'ultima è fatta di consensi, di numeri, di visualizzazioni. Può davvero ciò che gli altri si aspettino da te essere ciò che davvero tu sei?
La De Gregorio in questo libro intervista cinque giovani fotografe Guia Besana, Silvia Camporesi, Antonia Di Prospero, Simona Ghizzoni, Moira Ricci e a tutte chiede delle loro fotografie. Attraverso le foto hanno raccontato la loro storia: un lutto, la famiglia, la madre, il corpo, i figli, la solitudine, la paura.
La pienezza e il vuoto.
È un libro denso di emozioni perché queste giovani artiste, tramite la scrittrice, ci permettono di carpire l'intenzione degli autoritratti, non soltanto ciò che è immediatamente visibile, ma pure tutto ciò che c'è dietro. Si punta l'obiettivo verso sé stesse per guardarsi a fondo, scavare nell'anima e riportare a galla i suoi tesori alla luce, le lezioni che dalla vita s'imparano.
Il filo rosso che lega queste artiste è il tempo che fluisce e che inesorabilmente trascina con sé ogni cosa, altro non si può fare, per arrestare questa piena, è immortalare attimi in foto capaci di narrare quel tempo e così trovare il proprio posto nel mondo, come sosteneva la fotografa Vivian Maier.
Ho letto questo libro ammirando le foto al suo interno, fissandole a lungo e mi sono fatta cullare da immagini e parole, è un testo ricco di ispirazione, ma anche di conforto e riflessioni, un libro costantemente presente sul comodino.
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