"Tornavo da scuola insieme a mia madre. Lei accompagnava me, e io lei. Ci accompagnavamo a vicenda. Avrei voluto che quella strada non finisse mai. Che fosse lunga da darci la possibilità di parlare e anche di tacere mentre le percorrevamo. E che in entrambi i casi tutto andasse bene"
Nora Ikstena, scrittrice e saggista molto nota in Lettonia, ha scritto questa storia bellissima e commovente intingendo, figurativamente, la penna nel latte materno, la sostanza che trasporta, non solo nutrienti fondamentali, ma soprattutto l'indispensabile amore materno ai figli.
Siamo in Lettonia, ottobre 1944, le truppe hitleriane, dopo un'occupazione durata tre anni, si ritirano e l'Armata Rossa entra a Riga.
"Il latte della madre" è un romanzo che comincia a due voci: a tessere la storia sono una madre e sua figlia nei cinquant'anni che seguono la Seconda guerra mondiale, si racconta del loro rapporto intenso e tormentato, fatto di cose non dette, di abbracci mancanti, segnato dalla profonda e tenace depressione materna che non allatta sua figlia, negandole quella sostanza primaria e fondamentale a continuare il legame cominciato nel grembo. E' la storia del tentativo di arrestare questa forza autodistruttiva della madre. A loro si aggiunge una terza figura femminile, la nonna, che vive nel racconto delle altre due, la narrazione si snoda tra Riga, Leningrado e la campagna lettone parlandoci di memoria collettiva ed emancipazione femminile.
Il latte negato dalla madre alla propria figlia nei suoi primi giorni di vita non è più linfa vitale, ma un fluido amaro e disgustoso, nel prosieguo della lettura si scoprirà il motivo di questa mancanza, soltanto il tempo può in effetti donare risposte...e lascio a chi vorrà leggere il libro di scoprirlo da sè...
Si narra, dunque, di un'infanzia traumatica dove venendo a mancare il cibo primigenio, viene di conseguenza a mancare tutto. Il tema centrale è proprio il rapporto madre-figlia, sullo sfondo del regime sovietico.
La madre è una ginecologa, lavora tutto il giorno e di sua figlia si prende cura la nonna, in quanto medico ha praticato con successo un'inseminazione artificiale non rispettando però alcune procedure, pur avendo svolto l'operazione in maniera assolutamente coscienziosa e sicura per la paziente, ma accade che per difendere un'amica dalle violenze del marito, un militare sovietico, viene espulsa dal gruppo di ricercatori di Leningrado di cui faceva parte e mandata a lavorare nella sperduta periferia.
Questa situazione non farà che aggravare la fragilità mentale della madre, che si rinchiuderà nella sua stanza tra pile di libri e fumo di sigarette, il trasferimento in campagna allontanerà sua figlia dai nonni e dalle sue abitudini, e il loro rapporto dapprima si incrinerà, poi sembrerà intravedersi la luce della riconciliazione. Vedremo anche un ribaltamento dei ruoli: la figlia che fa da madre. Nella loro nuova vita ci sarà posto anche per una fedele amica, Jese che ristabilirà gli equilibri tra le due parti.
In queste pagine "la realtà biografica dell'autrice e la memoria si intrecciano ad altre linee narrative", come possiamo leggere nella "Conversazione con Nora Ikstena" di Margherita Carbonaro, posta a fine libro.
E' una storia quindi autobiografica, molto sentita e questa partecipazione arriva nitidamente al lettore, è una lettura densa di riflessioni e passi da sottolineare e rileggere, mi ha tenuta incollata fino all'ultima pagina lasciandomi piacevolmente coinvolta. La Storia si intreccia inevitabilmente con la vita dei personaggi influenzandone ovviamente la vita, le loro scelte, le ambizioni, le conquiste.
Consigliatissimo, più di quanto le parole siano in grado di esprimere.
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