Oramai non si usa più scrivere lettere, è divenuta una pratica arcaica, eppure la gioia incontrollabile che si avverte quando riceviamo una lettera tanto attesa è una sensazione che almeno una volta nella vita si dovrebbe provare, così come dedicare tempo e cura nello scriverla.
"La vita che non si ferma", a cura di Lisa Ginzburg per la casa editrice Archinto, raccoglie le lettere di Clarice Lispector nel periodo che va dal 1941 al 1975, ricoprendo l'arco di una vita. Un piccolo gioiello letterario, perfetto punto medio tra umorismo e maestria descrittiva, qui in queste righe emerge l'intensità delle relazioni della scrittrice e anche un interessante spaccato della cultura d'oltreoceano del dopoguerra.
La sua nascita, il 10 dicembre 1920, era avvenuta per caso a Čečel'nyk, in Ucraina, durante l'esodo dei genitori, ebrei russi diretti in America. All'arrivo in Brasile, Clarice ha due mesi e ottiene la cittadinanza brasiliana nel 1943, quando, terminati gli studi di giurisprudenza, lavora come giornalista, e sta per pubblicare il primo romanzo, "Vicino al cuore selvaggio".
Sposata con un giovane diplomatico, Maury Gurgel Valente, dal 1943, poi madre di due figli, segue il marito nei diversi spostamenti, tra cui Napoli e Lisbona, per poi tornare definitivamente a Rio de Janeiro nel 1959 dopo la separazione.
Ho sfogliato queste pagine con grande curiosità e il petto gonfio di stima e ammirazione, ho così potuto conoscere il forte temperamento della scrittrice ucraino-brasiliana specie nella lettera del 1942 indirizzata al presidente Gétulio Vargas per ottenere la naturalizzazione: "Chi le scrive è una giornalista (…) e casualmente anche russa. Una russa di 21 anni e che vive in Brasile da 21 anni meno pochi mesi. Che non conosce una sola parola di russo, ma che pensa, parla, scrive e agisce in portoghese (...). Che desidera sposarsi con un uomo brasiliano e avere figli brasiliani (...) non ho nè sceglierei altra paria al di fuori del Brasile".
In queste lettere, l'unico collegamento con i suoi affetti, vengono alla luce le sue speranze e i suoi desideri, le sue fragilità, i suoi pensieri fissi, le sue preoccupazioni, le lettere mi hanno permesso di conoscerla più a fondo, perché esse custodiscono l'intimo sentire di chi le scrive.
Il titolo della raccolta è estrapolato dalla curatrice da una lettera del 1941, e titolo migliore non poteva trovarsi, perché il ritmo di lettura è assimilabile allo scorrere di un fiume, a qualcosa di intensamente fluido, di inarrestabile come la passione che la Lispector ha per la scrittura e per la vita stessa, che lei vive come nomade, citando dalla Prefazione Lisa Ginzburg, "costretta al nomadismo per vicenda coniugale (...) ma nomade anche per indole naturale, per un'erranza legata alla sua origine di ebrea ucraina e che si estende alla sua condizione di brasiliana naturalizzata (...). Una condizione geografica e interiore di transitorietà che Lispector porterà in sè e nel suo inconfondibile modo di scrivere, sempre".
Una lettura straordinaria.
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